Leggi dell’UX Design (parte 2)

Qui trovi la Parte 1 dell’articolo “Leggi dell’UX design”, che prende in analisi le leggi dell’UX design nelle categorie Euristica e Principi.

In questa seconda parte dell’articolo vengono prese in considerazione le leggi dell’UX design inerenti alla Forma e ai Bias Cognitivi, come suddivisi da Jon Yablonski nel suo libro Laws of UX.

Leggi dell’UX design: Forma

13. Legge della Regione Comune

«Gli elementi tendono a essere percepiti in gruppi se condividono un’area con un confine chiaramente definito.»

Le regioni comuni definiscono chiare strutture che aiutano l’utente ad indentificare e comprendere rapidamente le relazioni tra elementi e sezioni.
L’aggiunta di un bordo attorno a un elemento o gruppo di elementi, o l’inserimento di uno sfondo, sono modi semplici per creare un’area comune.

I Principi di Raggruppamento sono un insieme di principi psicologici, proposti dalla psicologia della Gestalt (o psicologia della forma), per affermare l’osservazione secondo la quale gli esseri umani percepiscono naturalmente gli oggetti come modelli e oggetti organizzati, un principio noto come Prägnanz (pregnanza). Gli psicologi della Gestalt sostenevano tali principi esistevano poiché la mente ha una predisposizione innata nel percepire pattern, in caso di stimoli basati su precise regole.
Questi principi sono organizzati in cinque categorie: prossimità, somiglianza, continuità, chiusura e connessione uniforme (o destino comune).

14. Legge di Prossimità

«Oggetti che sono vicini o prossimi l’un l’altro, tendono ad essere raggruppati insieme.»

La prossimità aiuta a stabilire una relazione tra oggetti vicini, i quali vengono percepiti con tratti simili o simili funzionalità. La prossimità aiuta inoltre gli utenti a comprendere e organizzare l’informazione in modo più rapido ed efficiente.

Questa legge appartiene ai principi della Gestalt sopra menzionati.

15. Legge della Pregnanza

«Le persone percepiscono e interpretano immagini ambigue o complesse nella forma più semplice possibile, perché tale interpretazione richiede il minor sforzo cognitivo.»

L’occhio umano tende a ricercare semplicità e ordine nelle forme complesse, prevenendo così ad un sovraccarico di informazioni. Le ricerche confermano che le persone sono più abili nel processare visivamente e ricordare forme più semplici, rispetto a figure complesse.
L’occhio umano tende a semplificare forme complesse, trasformandole in un’unica figura unificata.

Nel 1910, lo psicologo Max Wertheimer ebbe un’intuizione quando osservò una serie di luci che si accendevano e si spegnevano a un passaggio a livello. Queste erano simili alle luci che circondavano i tendoni per feste di cinema, nel modo in cui si accendono e si spengono. L’osservatore percepisce un’unica luce che si muove intorno al tendone, viaggiando da una lampadina all’altra, quando in realtà si tratta di una serie di lampadine che si accendono e si spengono a ritmo. Questa osservazione ha portato a una serie di principi descrittivi su come percepiamo visivamente gli oggetti. Questi principi sono al centro di quasi tutto ciò che facciamo graficamente come designer.

16. Legge della Somiglianza

«L’occhio umano tende a percepire elementi simili in un disegno come un’unica immagine, forma o gruppo completo, anche se tali elementi sono separati.»

Gli elementi visivamente simili saranno percepiti come correlati. Anche colore, forma, disposizione, orientamento e movimento possono segnalare che gli elementi appartengono allo stesso gruppo, e probabilmente condividono un significato o una funzionalità comune.
Per tale ragione è bene assicurarsi, ad esempio, che sistemi di navigazione e link si differenzino adeguatamente dal testo.

Anche questa legge, come le due precedenti leggi dell’UX design, appartiene ai principi elaborati dalla Psicologia della Gestalt.

17. Legge della Connessione Uniforme

«Gli elementi che sono visivamente connessi sono percepiti come più correlati degli elementi senza connessione visiva.»

È buona prassi raggruppare visivamente funzioni della stessa natura tramite colore, linee, cornici o altre forme. In alternativa, si può utilizzare un riferimento di collegamento tangibile (linee, frecce, ecc) che creano una connessione visiva da un elemento all’altro.
Tale legge è utile per affermare un contesto o enfatizzare una relazione tra due elementi simili.

Anche la Legge della Connessione Uniforme apparitene alla serie di principi affermati dalla Psicologia della Gestalt.

Leggi dell’UX design: Bias Cognitivi

18. Regola del Picco-Fine

«Le persone giudicano un’esperienza in gran parte in base a come si sono sentite al culmine e alla fine, piuttosto che in base alla somma totale o alla media di ogni momento dell’esperienza.»

Per tale ragione è bene prestare la massima attenzione ai punti più intensi e ai momenti finali della user journey. A tale scopo, è buona prassi individuare i momenti in cui il prodotto è maggiormente d’aiuto per il cliente, in cui risulta più valido o semplicemente di maggior intrattenimento, sulla base di quanto il design sia apprezzato dall’utente finale.
Sul fronte psicologico è bene tenere a mente che l’utente ricorda più vividamente le esperienze negative, rispetto a quelle positive, per cui risulta necessario ridurre al minimo le problematiche inerenti alla user journey.

La Regola del Picco-Fine trova dimostrazione in uno studio del 1993 intitolato “When More Pain Is Preferred to Less: Adding a Better End”, di Kahneman, Fredrickson, Schreiber e Redelmeier.
Durante lo studio, i partecipanti sono stati sottoposti a due diverse versioni di un’unica esperienza spiacevole. La prima prova prevedeva che i soggetti immergessero una mano in acqua a 14°C per 60 secondi. La seconda prova prevedeva che i soggetti immergessero l’altra mano in acqua a 14°C per 60 secondi, per poi mantenerla sommersa per ulteriori 30 secondi, durante i quali la temperatura venne portata a 15°C. Ai soggetti è stata in seguito offerta l’opzione di quale processo ripetere. Contro la legge della monotonia temporale, i soggetti erano più disposti a ripetere la seconda prova, nonostante un’esposizione prolungata a temperature sgradevoli. Kahneman et al. ha concluso che “i soggetti hanno scelto il lungo processo semplicemente perché gli piaceva il ricordo di esso meglio dell’alternativa (o non gli piaceva di meno)”.

19. Effetto di Posizione Seriale

«Le persone tendono a ricordare meglio il primo e l’ultimo elemento di una serie.»

Per tale ragione, posizionare gli elementi meno importanti al centro di una lista può risultare utile, in quanto questi elementi tendono ad essere conservati meno frequentemente all’interno della memoria attiva e a lungo termine.
Al contrario, è buona prassi posizionare le azioni chiave all’estrema destra e all’estrema sinistra, ad esempio, di un elemento di navigazione, al fine di aumentarne la memorizzazione.

Il termine Effetto di Posizione Seriale è stato coniato da Herman Ebbinghaus, e descrive come la posizione di un elemento in una sequenza influisca sull’accuratezza del ricordo.
I due concetti coinvolti, l’effetto primacy e l’effetto recency, spiegano come gli elementi presentati all’inizio di una sequenza e alla fine di una sequenza vengono richiamati con maggiore precisione rispetto agli elementi nel mezzo di un elenco. La manipolazione dell’Effetto della Posizione Seriale per creare esperienze utente migliori si riflette in molti progetti popolari di aziende di successo come Apple, Electronic Arts e Nike.

20. Effetto Von Restorff

«Quando sono presenti più oggetti simili, è più probabile che quello che differisce dagli altri venga ricordato.»

È necessario rendere le azioni chiave o le informazioni importanti visivamente distintive, ma è bene essere moderati nell’uso di accenti sugli elementi visivi, per evitare che questi competano tra loro e per garantire che gli elementi salienti non vengano erroneamente identificati come annunci.
Inoltre è essenziale non fare affidamento solo al colore per rendere tali elementi distintivi, poiché ciò andrebbe ad intaccare l’accessibilità ed usabilità per le categorie con carenza di visione dei colori o ipovisione. In tale ambito è bene tenere in considerazione anche utenti con con sensibilità al movimento, nel caso in cui si utilizzasse il movimento come elemento di distintività.

Tale teoria venne coniata dallo psichiatra e pediatra Hedwig von Restorff, che nel suo studio del 1933 scoprì che presentando ai partecipanti un elenco di elementi categoricamente simili con un elemento distintivo e isolato nell’elenco, il ricordo dell’elemento distintivo era migliore.

21. Effetto Zeigarnik

«L’utente ricorda meglio i compiti interrotti o incompleti, rispetto a quelli completati.»

Per migliorare l’esperienza utente, può essere utile invitare l’utente a scoprire i contenuti, fornendo chiari significati per contenuti aggiuntivi.
Anche fornire una chiara indicazione del progresso in un’attività o fornire progressi artificiali verso un obiettivo, in piena coerenza con l’Effetto Obiettivo-Gradiente, aiuterà a garantire che gli utenti abbiano maggiori probabilità di avere la motivazione per completare quell’attività.

Tale scoperta si deve alla psicologa sovietica Bluma Wulfovna Zeigarnik, che negli anni ’20 condusse uno studio sulla memoria, in cui si comparava la memoria in relazione a compiti completi o incompleti, con la conseguente scoperta che i compiti incompleti fossero più facili da ricordare.
L’intuizione nacque quando Zeigarnik notò che, in un ristorante affollato, un cameriere ricordava tutte le ordinazioni parzialmente eseguite, mentre non ricordava niente delle ordinazioni già concluse. Per realizzare il suo studio la Zeigarnik affidò a diversi soggetti una serie di 18-22 esercizi da completare (enigmi, giochi, problemi aritmetici). I soggetti alla fine dell’esperimento si ricordavano due volte di più gli esercizi non conclusi rispetto a quelli completati con successo.
L’effetto Zeigarnik descrive come la mente umana ha più facilità a continuare un’azione già cominciata e portarla a termine, piuttosto che dover affrontare un compito partendo da zero. Infatti, quando si incomincia un’azione si crea una motivazione per portarla a termine che rimane insoddisfatta se l’attività viene interrotta. Sotto l’effetto di questa motivazione un compito interrotto rimane nella memoria meglio e più profondamente di un’attività completata.

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