Quando si parla di design si è inclini a pensare si tratti di un ruolo esclusivamente creativo, tuttavia il design dell’interazione sembra rispecchiare spesso il Terzo Principio della Dinamica introdotto da sir Isaac Newton nel 1687, per cui “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. In questo caso specifico la reazione dell’utente che interagisce con l’interfaccia. Per tale ragione possiamo affermare che il design risponda a delle precise leggi dell’UX design.
Alla base delle interazioni utente di successo sta di fatto un’attenta analisi della percezione umana, fondata su principi psicologici: a tal proposito Jon Yablonski individua, nel suo libro Laws of UX, 21 leggi dell’UX design, suddivise in quattro categorie (Euristica, Principi, Forma, Bias Cognitivi).
Leggi dell’UX design: Euristica
1. Effetto Estetica-Usabilità
«Gli utenti percepiscono un design esteticamente piacevole come più usabile.»
Ciò risulta in una maggiore tolleranza rispetto ai problemi di usabilità nella percezione dell’utente, tuttavia previene l’individuazione degli stessi in fase di testing. Appare comunque evidente che un’estetica apprezzata dall’utente non consegua necessariamente in una buona usabilità. Per prevenire queste problematiche è bene rivolgere domande astratte ai partecipanti ai test, come ad esempio commenti sulla facilità o difficoltà nel reperire un’informazione all’interno dell’interfaccia.
Il vantaggio di questo effetto sta nel determinare una risposta positiva nella percezione dell’utente, che lo induce a credere che in effetti tale design funzioni meglio, se comparato ad un design meno piacevole dal punto di vista estetico (a parità di funzionalità).
Bisogna, ad ogni modo, sottolineare quanto il gusto estetico del singolo utente dipenda anche dal background culturale (lingua, religione, età, livello culturale, orientamento politico, percezione) e/o dallo stile cognitivo Globale-Analitico o Verbale-Visivo.
Tale effetto emerge per la prima volta nel 1995, nel campo della HCI (human-computer interaction). La scoperta si deve a Masaaki Kurosu e Kaori Kashimura dell’Hitachi Design Center, durante i test di 26 variazioni dell’ATM UI. L’obiettivo dei test era ottenere valutazioni sia dal punto di vista estetico che di facilità d’uso. Dai risultati si evinse un’importante correlazione tra le valutazioni estetiche e l’usabilità, a dimostrazione che gli utenti sono fortemente influenzati dall’estetica delle interfacce, anche quando si cerca di valutare la funzionalità di un sistema.
Le interfacce ad alto fattore estetico risultano comunque valide, ma solo se utilizzate a supporto e miglioramento del contenuto e delle funzionalità di un sito: aspetto che si evince nell’osservazione diretta dell’utente durante la navigazione, e non attraverso apprezzamenti verbali concernenti l’estetica, per quanto si tratti di aspetti misurabili.
2. Legge di Fitts
«Il tempo per acquisire un obiettivo è una funzione pari al rapporto tra distanza dall’obiettivo e dimensioni dell’obiettivo.»
La Legge si riassume nella formula T= a + b log2 (D/W), dove T indica il tempo, a e b sono variabili empiriche che dipendono dall’utente e dal dispositivo di input, D è la distanza da percorrere e W è la larghezza dell’obiettivo.
Gli obiettivi devono essere di dimensioni adeguate per essere selezionati, devono essere distanti tra loro per premettere il movimento e devono essere posizionati in aree dell’interfaccia facilmente raggiungibili.
La Legge di Fitts risulta utile utile nel Keystroke-Level Modeling (KLM), uno strumento matematico per la misurazione dell’efficienza di un dispositivo, come il click del mouse, tenendo conto del tempo impiegato per completare una micro-interazione.
Tale scoperta si deve allo psicologo Paul Fitts, che nel 1954, esaminando il sistema motorio umano, dimostra che il tempo impiegato a spostarsi su un obiettivo dipende dalla distanza da esso, ed è inversamente proporzionale alla dimensione dell’obiettivo stesso. Per tale ragione, movimenti rapidi e obiettivi di piccole dimensioni risultano in tassi di errore maggiori, a causa del compromesso velocità-accuratezza.
Questa Legge è spesso utilizzata in ambito UX e UI, dettando convenzioni come l’utilizzo di bottoni di grandi dimensioni (specialmente su dispositivi mobile).
Allo stesso modo, la distanza tra l’area di interesse di un utente e il pulsante relativo all’attività di interesse dovrebbe essere mantenuta la più breve possibile.
3. Effetto Obiettivo-Gradiente
«La tendenza ad avvicinarsi a un obiettivo aumenta con la vicinanza all’obiettivo.»
Più l’utente risulta vicino al completamento di un compito, più velocemente lavorerà per raggiungere il completamento: per tale ragione, fornire un progresso artificiale verso un obiettivo, fa si che gli utenti siano più motivati a completare un compito. Inoltre, fornire una chiara indicazione del progresso in un compito motiva ulteriormente l’utente a portarlo a compimento.
Tale teoria fu promossa dallo psicologo comportamentale Clark Hull, che nel 1934 dimostrò come dei topi in un corridoio dritto procedessero sempre più velocemente per raggiungere il cibo posto alla fine del percorso. Nonostante lo studio sia stato svolto solo su animali, si presume possa avere grandi implicazioni, pratiche e teoriche, sia sul comportamento intertemporale dei consumatori nei programmi di ricompensa, che in altri sistemi di tipo motivazionale.
4. Legge di Hick
«Il tempo necessario a compiere una decisione aumenta all’aumentare del numero e della complessità delle scelte.»
Nel caso in cui fosse cruciale minimizzare i tempi, è necessario ridurre le opzioni di scelta. Risulta inoltre buona prassi suddividere compiti complessi in step più piccoli, così da ridurre il carico cognitivo. Evitare di sovraccaricare l’utente con opzioni raccomandate, utilizzando l’onboarding progressivo per ridurre al minimo il carico cognitivo per i nuovi utenti. Bisogna tuttavia prestare attenzione a non semplificare all’eccesso, rischiando l’astrazione.
La Legge di Hick si deve agli psicologi inglese e americano, William Edmund Hick e Ray Hyman. Lo scopo della loro ricerca era esaminare la relazione tra il numero di stimoli presenti e il tempo di reazione di un individuo a un dato stimolo. Come ci si aspetterebbe, più sono gli stimoli tra cui scegliere, più tempo impiega l’utente per prendere una decisione. Gli utenti bombardati da scelte devono prendersi del tempo per interpretare e decidere, dando loro un carico mentale ulteriore.
5. Legge di Jakobs
«L’utente passa gran parte del suo tempo su altri siti. Ciò significa che l’utente preferisce che il tuo sito funzioni allo stesso modo degli altri siti che già conosce.»
L’utente trasferisce le aspettative che ha costruito su un prodotto a lui familiare, su un altro prodotto che appare similare. Facendo leva su modelli mentali pre-esistenti si possono creare esperienze utente di livello superiore, nelle quali l’utente può focalizzarsi sui propri obiettivi, invece di dover apprendere un nuovo modello.
Quando si apportano modifiche al modello, è buona prassi ridurre al minimo le differenze, consentendo agli utenti di continuare ad utilizzare un modello ancora familiare, per un periodo limitato di tempo.
La legge di Jakob è stata coniata da Jakob Nielsen, presidente della Nielsen Norman Group e creatore del movimento “discount usability engineering” per miglioramenti rapidi ed economici delle interfacce utente. Nielsen ha inoltre inventato diversi metodi di usabilità, inclusa la valutazione euristica, un processo in cui i valutatori analizzano l’interfaccia di un sito web ed eseguono vari compiti, al fine di individuare problemi di usabilità che devono essere risolti, per un’esperienza utente più agevole.
6. Legge di Miller
«Una persona nella media può tenere a mente solo 7 (± 2) elementi quando la sua mente è in funzione.»
Ciò non significa che il cosiddetto “magico numero 7” possa giustificare limitazioni di design non necessarie. Piuttosto è opportuno frammentare l’informazione in blocchi di dimensioni inferiori, tali da aiutare l’utente a processare, comprendere e memorizzare più facilmente.
Bisogna comunque tenere a mente che la memoria a breve termine può variare da individuo a individuo, sulla base di conoscenze pregresse e del contesto specifico.
Tra le leggi dell’UX design, questa viene teorizzata dallo psicologo George Miller nel 1956. La minima unità di informazione viene definita bit, ossia la quantità di dati necessaria a compiere una decisione tra due alternative egualmente probabili. Allo stesso modo, 4 bit di informazione equivalgono a 16 alternative binarie (4 decisioni binarie successive).
Il punto in cui la confusione crea un giudizio errato è detta capacità del canale: in altre parole, essa è definita come la quantità di bit che può essere trasmessa in modo affidabile attraverso un canale, entro un certo lasso di tempo.
7. Legge di Parkinson
«Per un qualsiasi compito, questo si espanderà fino a consumare tutto il tempo disponibile per esso.»
Per esemplificare il concetto, si può affermare che se abbiamo un compito da completare entro una settimana, questo verrà completato in una settimana, mentre se abbiamo due mesi, il tempo necessario per il suo svolgimento sarà di due mesi.
Il primo corollario di tale legge afferma inoltre che più tempo si ha e più il lavoro da svolgere sembra importante e impegnativo.
In realtà ciò implica che il lavoro è più inefficiente se il tempo disponibile aumenta, mentre, in una situazione di scarsità di tempo la necessità di raggiungere l’obiettivo favorisce l’efficienza.
Per tale ragione potrebbe essere utile limitare il tempo necessario a completare un compito, sulla base dell’aspettativa che l’utente ha della durata necessaria. La riduzione della durata effettiva per completare un’attività, rispetto alla durata prevista dall’utente, migliorerà l’esperienza utente complessiva.
Tale Legge origina da un saggio ironico dello storico navale inglese Cyril Northcote Parkinson, pubblicato nel 1955 sul settimanale britannico «The Economist», il quale affronta le problematiche del funzionamento delle organizzazioni economiche e delle burocrazie.
Leggi dell’UX design: Principi
8. Soglia Doherty
«La produttività aumenta quando un computer e il suo utente interagiscono ad un ritmo (<400ms) che assicura che nessuno dei due debba attendere l’altro.»
Una soglia di un massimo di 400 millisecondi per il feedback di sistema mantiene attiva l’attenzione dell’utente. La performance del sistema deve essere visibile dall’utente, in modo da ridurre la percezione dell’attesa: a tale scopo si utilizzano animazioni, come le barre di caricamento, le quali tengono impegnato l’utente mentre il sistema svolge progressi in background. Ciò rende il passare del tempo più tollerabile, anche qualora il calcolo delle tempistiche fosse poco accurato o visibile solo in forma grafica.
Anche ritardare di proposito i tempi di caricamento di un processo risulta una strategia valida, in quanto aumenta il valore percepito del processo e instilla un senso di fiducia nell’utente.
Tale scoperta nell’ambito delle leggi dell’UX design si deve a Walter J. Doherty e Ahrvind J. Thadani, i quali pubblicarono, nel 1982, sull’IBM Systems Journal un articolo in cui la soglia di risposta di un sistema veniva ridotta da 2000ms (2 secondi) a 400ms.
In passato si riteneva che una soglia di 2 secondi fosse adeguata, in quanto l’utente necessitava di tempo per ragionare gli step successivi.
Doherty comprende che, in realtà, all’aumentare dei tempi di risposta del sistema, si riduce l’attenzione e la produttività dell’utente, il quale spreca risorse mentali per ricordare quali step dovrà eseguire di seguito, invece di concentrarsi sulle risposte del sistema. Le animazioni servono a tenere focalizzato l’utente in attesa di elaborazione, rendendo l’esperienza utente più avvincente.
9. Rasoio di Occam
«A parità di fattori, la spiegazione più semplice è quella da preferire.»
In effetti risulta chiaro che il miglior metodo di ridurre la complessità è evitarla a priori: per tale ragione risulta opportuno analizzare ciascun elemento e rimuoverne il più possibile, senza compromettere o intaccare le funzionalità del sistema. Un sistema è da considerarsi completo quando non ci sono ulteriori elementi rimovibili.
Il Rasoio di Occam è una delle leggi dell’UX design conosciuta anche come Principio della Parsimonia, ed è stato attribuito al frate francescano britannico William di Ockham. Concetti simili si ritrovano nelle filosofie precedenti, come quelle di Aristotele e Tolomeo. Tuttavia fu il frate francescano ad introdurre l’idea di rasoio, concetto relativo all’idea di taglio di elementi non necessari.
10. Principio di Pareto
«Per gran parte degli eventi, circa l’80% degli effetti deriva dal 20% delle cause.»
Bisogna tenere a mente che gli input e gli output di un sistema non sono equamente distribuiti; inoltre un gruppo di elementi può contenere solo una piccola parte di contributi validi al risultato atteso. Risulta pertanto necessario concentrare la maggior parte degli sforzi sulle aree che porteranno i maggiori vantaggi alla maggior parte degli utenti. (ad esempio: barre menu e bottoni).
L’importante è sapere quale attività contribuisce maggiormente al raggiungimento di ciò che si vuole, così da riuscire a dare la giusta priorità alle varie mansioni. Il principio di Pareto aiuta a fare la scelta migliore.
Le origini di questo concetto si devono a Vilfredo Pareto, un economista che notò come l’80% del territorio italiano fosse posseduto solo dal 20% della popolazione.
Sebbene possa sembrare un principio molto vago, il modo di pensare 80/20 può fornire un’analisi perspicace e infinitamente applicabile di sistemi sbilanciati (in cui un numero relativamente piccolo di elementi, ha un impatto relativamente significativo), inclusa la strategia dell’esperienza utente.
11. Legge di Postel
«Sii conservatore in ciò che fai, sii liberale in ciò che accetti dagli altri.»
In ambito UX ciò si traduce nell’essere empatici, flessibili e tolleranti rispetto alle varie azioni che l’utente può intraprendere o agli input che può fornire. È comunque necessario anticipare virtualmente tutto in termini di input, accesso e capacità quando si cerca di fornire un’interfaccia accessibile e affidabile. Più riusciamo ad anticipare e pianificare questi aspetti nel design, più questo sarà resiliente e duraturo nel tempo.
Per la riuscita di un buon design bisogna accettare input variabili dagli utenti, e tradurli in modo tale da integrarli ai requisiti del design, definendo comunque dei limiti a tali input e fornendo chiari feedback all’utente.
La Legge di Postel, una delle leggi dell’UX design conosciuta anche come Principio di Robustezza, è stata formulata da Jon Postel, uno dei pionieri dell’Internet.
Tale Legge risulta come una linea guida per il design del software, specialmente in merito a network e TCP, e afferma che “Le implementazioni TCP dovrebbero seguire un principio generale di robustezza: sii prudente in ciò che fai, sii liberale in ciò che accetti dagli altri”.
In altre parole, i programmi che inviano messaggi ad altre macchine (o ad altri programmi sulla stessa macchina) dovrebbero essere completamente conformi alle specifiche, mentre i programmi che ricevono messaggi dovrebbero accettare input non conformi, purché il significato sia chiaro.
12. Legge di Tesler
«Per ogni sistema esiste una certa quantità intrinseca di complessità che non può essere ridotta o rimossa.»
Tutti i processi contengono un nucleo di complessità che non può essere rimosso dal design, e che deve essere assunto dal sistema o dall’utente. Bisogna, di conseguenza, assicurarsi di rimuovere la complessità lato utente, affrontandola in fase di design e di sviluppo. Bisogna prestare attenzione, come già segnalato in precedenza, a non semplificare le interfacce fino al punto di astrazione.
Conosciuta anche come Legge di Conservazione della Complessità, viene elaborata a metà degli anni ’80 da Larry Tesler, designer dell’Apple Lisa. Mentre lavorava a Xerox PARC, Tesler realizza che il modo in cui gli utenti interagiscono con le applicazioni era importante quanto l’applicazione stessa, e che il miglior modo per progettare un software era coinvolgere l’utente-consumatore finale. A tal scopo sviluppa tecniche di osservazione dell’utente, che permetteranno di disegnare software in grado di rendere l’utilizzo della tecnologia più familiare per gli utenti.
La teoria di Tesler è che un’ingegnere debba impiegare un’ulteriore settimana a ridurre la complessità di un software, invece di far sprecare anche solo un minuto in più a milioni di utenti a causa di complessità non necessaria.
Tuttavia Bruce Tognazzini propone una teoria opposta: gli utenti resistono alla riduzione di complessità, per cui quando un’applicazione viene semplificata cercheranno di svolgere compiti più complessi.
Continua qui per la Parte 2, contenente le altre 19 leggi dell’UX design.
Un pensiero su “Leggi dell’UX Design (parte 1)”